UN RITARDO, E VERDI SI SALVÒ
II ragazzo doveva suonare l’harmonium spinetta in occasione della festa del 14 settembre in onore della Vergine.
La pioggia impedì al musicista quindicenne di giungere puntualmente al Santuario di Madonna dei Prati.
Quando arrivò, rimase sconvolto: un fulmine aveva appena ucciso quattro sacerdoti e due cantori.
Se per incanto, in questo Bicentenario verdiano, si potesse accompagnare una storia con musiche e arie, questa avrebbe per colonna sonora le note della sinfonia dell’inesorabile «Forza del destino» e il tumulto del «Dies Irae»: quel potente «affresco michelangiolesco» (Massimo Mila) che ti piomba addosso con esplosioni ammonitrici di quanto sarà dura per noi il giorno del Giudizio universale, quando non potremo nascondere nulla e non riusciremo a schivare la punizione. E alla resa dei conti biblica, aggiungiamo anche una bella maledizione laica, come quella che risuona più volte nel “Rigoletto” e che alla fine schianta il Gobbo.
Sacro e profano, dunque. Già, questa è infatti la storia di un harmonium, di uno scappellotto sacerdotale al quale il chierichetto risponde con un minaccioso «Dio ‘t manda ‘na sajèta» (Dio ti mandi un fulmine), di un Vespro, di un temporale da fine del mondo, di un fulmine che fa strage: e di un ex chierichetto che la scampa.
E’ una storia che ha il suo epilogo in una domenica di 185 anni fa. Roncole, Santuario di Madonna dei Prati, domenica 14 settembre 1828: «Solennizzavasi la festa del Santissimo Nome di Maria – racconta con bel ritmo cronistico “l’illustrissimo signor Pretore di Busseto” nel foglio uscito dalla Stamperia parmigiana di Giuseppe Rossetti – Destatosi fiero temporale, mentre verso le tre pomeridiane si incominciavano i Vespri, un fulmine caduto uccise quattro preti e due secolari». Tuoni, vento e fulmini: in pochi secondi, una strage. Giusto dieci minuti dopo, ecco che sul rettilineo che taglia la campagna arriva, trafelato e zuppo di pioggia, un ragazzo quindicenne: è il giovane organista che, atteso per accompagnare la celebrazione, ha invece trovato riparo dal fortunale in una cascina, ed ora è in ritardo.
Un ritardo forse colpevole, ma sicuramente provvidenziale per la storia della musica. Il suo nome è Giuseppe Verdi, «enfant prodige» la cui fama inorgoglisce la pallaviciniana Bassa parmense. Virtuoso della tastiera, già compositore di marce, inni, romanze: e li per lì pronto a sfornare, davanti a occhi e orecchi di estatici Filarmonici bussetani capeggiati dal mecenate Antonio Barezzi, addirittura una sinfonia da apporre al Barbiere di Siviglia, sfrattando le note di tal Gioachino Rossini. Giuseppe, Peppino, Verdi ha incominciato presto a strimpellare: e sulla spinetta di don Paolo Costa, a Madonna Prati e sull’organo della Chiesa delle Roncole, con Pietro Baistrocchi.
A otto, nove anni accompagna già alcune funzioni religiose, tra le quali quella settembrina di Madonna dei Prati. Suo padre, Carlo, oltre che oste è infatti affittuario del podere vescovile che alimenta il Santuario. «Il mio Giuseppe era bambino bravissimo raccontava la madre Luigia Uttini ma se sentiva un organetto o un musico viandante nessuno poteva più tenerlo». La musica, il meraviglioso e infinito mondo in cui, fin dall’infanzia, cresce e vivrà per sempre Peppino Verdi delle Roncole. La mente sempre affollata di motivi, di melodie, di accordi e di canti. Una possessione totale, quotidiana, tale da costringerlo a perdersi via rapito dalla musica dell’organo anche durante il servir messa: e scordarsi così i gesti rituali, rispondere, suonare il campanello all’elevazione, porgere le ampolle al celebrante.
Come capita una mattina con il curato don Giacomo Masini, il quale, e dai e dai, spazientito, ricorre a un vendicativo scapaccione, avendone in contraccambio, da quel testardo chierichetto già votato al sacerdozio musicale, un «Dio ‘t manda ‘na sajèta» (Dio ti mandi un fulmine): una sorta di fumantina, e irrispettosa, maledizione. Passano poi alcuni anni. Ed eccoci a domenica 14 settembre 1828. Peppino organista in ritardo arriva al Santuario, entra e si trova davanti a una piccola apocalisse,: raccontata dall’eccellente cronista il Pretore di Busseto: «A mano destra Don Pietro Orzi, Arciprete di Frescarolo, rimasto morto ma seduto e in aspetto di uomo che mediti». Poi «steso per terra morto ma senza nessun segno Don Luigi Menegalli, Arciprete di Semoriva». Folgorati restano anche due cantori, Francesco Luzzi e Gaetano Bianchi. E terribile a vedersi Don Bartolomeo Orioli «annerito e volto e mani e capelli abbrudati e ciglia». A lui accanto «morto ma seduto e in aspetto di uomo che soffra grandi dolori, stava il cadavere di Don Giacomo Masini, Cappellano di Roncole, di anni cinquanta». Don Masini, il sacerdote dello scappellotto.
Giuseppe Verdi ne serberà sempre un ricordo incancellabile, di, sgomento e dolore, ma senza sottrarsi alla tentazione, anni e anni dopo, della battuta tra amici: «Giusto castigo!». Ora a Madonna Prati, in vista delle celebrazioni di settembre, ci si sta dando da fare per avere in esposizione la famosa spinetta, oggi custodita nella verdiana Casa di riposo per Artisti a Milano.
Secondo gli abitanti della frazione, la spinetta sulla quale Peppino aveva appreso i primi rudimenti musicali da Don Costa, era stata poi acquistata dal padre di Verdi e collocata nella casa delle Roncole. L’harmonium e un ritardo a Madonna dei Prati: senza, forse non avremmo avuto tutto quel ben di dio verdiano. Più che giusto, pertanto, celebrarli come si deve.